Indignato per l’orrenda campagna stampa contro le voci libere del web, orchestrata da certi pennivendoli locali e rimbalzata grazie a qualche connivenza su alcuni giornali nazionali e sostenuta con forza dall’illeggibile “Corriere fiorentino”, sempre prono al potere, Carneade ha tirato fuori dal proprio archivio una bella analisi sul valore, l’utilità, la legittimità e addirittura la necessità dell’anonimato pubblicata sul “Corriere di Siena” il 21 marzo del 2005 e ha deciso di riproporvela integralmente, fiducioso, cari lettori, della vostra approvazione.
Mai, lo confesso, il vecchio Carneade è stato così concorde con Stefano Bisi … anzi, pardon, con Suor Bridget!
La libertà di “pseudoanonimo”.
I giornali sono invasi da “lettere firmate”, che saranno pure firmate ma spesso anche inventate. “Gruppi di cittadini” si lamentano senza dire chi sono e quanti sono (magari 2, se non addirittura uno). Nomi di comodo compaiono in fondo agli articoli per i motivi più vari, a volte solo perché se la stessa persona ne scrive troppi in una giornata sembra ci sia solo lui in redazione. L’anonimato rappresenta una condizione fondamentale per la libertà di espressione degli individui. Voci controverse e spesso irriverenti si sono fatte sentire grazie alla copertura di uno pseudonimo. Autori che potevano avere problemi a causa del loro pensiero hanno così avuto modo di esprimere liberamente le proprie opinioni, senza temere ritorsioni. Tanto più che la legge è uguale per tutti e, anonimi o no, ciò che si scrive non deve contenere offese per nessuno.
I nomi di fantasia hanno sempre occupato uno spazio fondamentale per la politica e la letteratura satirica in genere, permettendo anche a persone già identificate dalle opinioni espresse in precedenza o dall’appartenenza a qualche associazione, di esprimere le proprie idee senza il pericolo che queste venissero travisate o rifiutate a priori. In altre parole, un autore può avere una quantità di motivi validi per decidere di non rivelare la propria identità, come la paura di rappresaglie economiche o legali, di ostracismo sociale o semplicemente il desiderio di preservare la privacy.
“L’identità di chi scrive non è differente da ogni altro componente del contenuto di un documento che l’autore è libero di includere o escludere” ha sentenziato la Corte Suprema degli Stati Uniti del 1995, stabilendo che l’ anonimato “offre a un autore che può essere impopolare un modo per assicurarsi che i lettori non accolgano il suo messaggio con pregiudizio, semplicemente per il fatto che essi non amano colui che lo propone”. Pubblicare scritti anonimi, quindi, non è considerata una pratica scorretta, come qualcuno vorrebbe far credere. Fa parte, al contrario, di una onorevole tradizione di dissenso e di espressione libera delle proprie opinioni. Con l’avvento di internet questa abitudine si è moltiplicata in maniera esponenziale: in tutti i forum di discussione si interviene usando un nickname e questo non danneggia affatto il dibattito, anzi. Il “Barbiere della Sera” è un sito di giornalisti fatto per i giornalisti, tutti con pseudonimo. Un nome ed un cognome li renderebbe meno liberi di raccontare ciò che succede anche nelle loro stesse redazioni. La stampa nazionale offre numerosi esempi di anonimi e pseudonimi molto in voga e mi limiterò a citarne solo alcuni di estrema attualità: da Jena che è passato dal Manifesto alla Stampa all’Elefantino del Foglio, dal Corbeille di Finanza & Mercati al Tamerlano che nasconde l’identità del guru economico del centrosinistra.
Luther Blissett invece, entrando nel campo della letteratura ha già compiuto 10 anni (come il Corriere di Siena, al quale faccio gli auguri). In realtà si tratta di un “nome collettivo” dietro al quale si cela un gruppo di persone di diversi paesi, scrittori, attivisti politici, artisti, scrittori, saggisti che hanno prodotto, firmandosi come l’ex calciatore del Milan, riviste e fanzine, saggi e opere di fiction, dischi, performance, opere teatrali, siti web, inchieste giornalistiche e soprattutto azioni di “guerriglia mass-mediatica, come loro stessi amano definirla. Oggi il “Luther Blissett Project” non c’è più. Al suo posto è nata una vera e propria band di scrittori, “Wu Ming”, che ha firmato un libro di successo come “Q” [non è vero, “Q” è firmato da Luther Blissett come è noto] e realizzato molti altri progetti, sia come gruppo, sia a firma dei singoli componenti, rigorosamente indicati soltanto come Wu Ming 1, 2, 3 e 4, l’ultimo dei quali è “New Thing”, scritto da Wu Ming 1. In seguito a questa esperienza è nata addirittura una radio “Luther Blissett”, a Madrid.Dalla rete sono usciti altri collettivi come “Kai Zen” ed “Emerson Krott”, poi ci sono “i Quindici”, comitato di “lettori auto-convocati” che in meno di due anni ha esaminato centinaia e centinaia di romanzi e racconti inediti, riuscendo a far pubblicare da Einaudi il libro di Girolamo De Michele “Tre uomini paradossali”. Gli “pseudonimi multiuso” fanno parte della tradizione dei movimenti, dal “povero Conrad” dei contadini svevi del 16° secolo al “Ned Ludd” della prima rivoluzione industriale, dal “Capitano Swing” dei moti rurali inglesi fino al Subcomandante Marcos (“Todos somos Marcos”, dicono gli zapatisti). Anche nella tradizione della stampa locale senese si trovano molti esempi. In passato fecero largo uso di pseudonimi i settimanali il Campo (che continua a farlo oggi con la Voce) e, soprattutto, il Nuovo Corriere Senese, redazione in cui hanno mosso i primi passi tanti cronisti ancora sulla breccia. Sui quotidiani, in tempi più recenti, voglio ricordare i Caligola, i Biagio Furan, i Vezio Rossetti, . E perché no, anche il feroce Calidonio che sembrava ispirato dalla stessa musa a cui oggi guarda Don Giulio. Ieri era a sinistra, adesso un po’ più a destra. Fra tanti anonimi per scelta, i quali evidentemente si ritagliano uno spazio nel dibattito cittadino per le loro opinioni e non per titoli, trascorsi o lignaggio, davvero non invidio gli anonimi di contenuto. Si dannano l’anima, prolissi a morte, per leggersi nome e cognome sulla gazzetta locale. E, ahimé, incorrono pure nello sberleffo di un signor nessuno al quale, come disse un tizio di cui non ricordo il nome, “non puoi dare neanche uno schiaffo quando lo incontri per strada”. Suor Bridget
Carneade
4 comments ↓
Fatemi capire.Il Bisi pubblicava questi articoli nel 2005 e oggi si presenta insieme al Lorenzini per aizzare la folla contro i blogs anonimi? Questi hanno bisogno di cambiare mestiere.
Cari illuminati,
è con vivo e trepidante piacere che vi faccio i migliori complimenti per questo autentico scoop.
Che dire? Bravissimi voi, non proprio coerentissimo qualche altro…
Buon lavoro, l’eretico
……”L’anonimato rappresenta una condizione fondamentale per la libertà di espressione degli individui. Voci controverse e spesso irriverenti si sono fatte sentire grazie alla copertura di uno pseudonimo. Autori che potevano avere problemi a causa del loro pensiero hanno così avuto modo di esprimere liberamente le proprie opinioni, senza temere ritorsioni. Tanto più che la legge è uguale per tutti e, anonimi o no, ciò che si scrive non deve contenere offese per nessuno.”……….
Chapeu…..
Ottimo Carneade. A questo punto trovo interessante sapere se certi rappresentanti di agenzie di comunicazione cittadine sono più o meno d’accordo con questo pezzo.
Ma su certe cose ci ritorneremo con calma. Il tempo è galantuomo.