Il Bisi eternamente indeciso sulle posizioni da prendere sul piano giornalistico, riuscendo a far confliggere il suo articolo del giorno con quello del giorno prima, non si capacita del perché il “groviglio armonioso” a lui tanto caro è esploso. Forse lo sa, ma non può dirlo, visto che su di lui ricadono buona parte delle responsabilità politiche, tenuto conto che più che giornalista in questi anni lo stesso Bisi è stato un attore attivo del groviglio. Sulla vicenda dell’aereoporto di Ampugnano ha dedicato anima e corpo oltre ad aver sponsorizzato Enzo Viani alla presidenza; sull’università la stessa dose di anima e corpo prima con Tosi-Semplici e poi con Riccaboni-Fabbro. Sul Monte dei Paschi a scrivere articoli contradditori e di critica pesante non è arrivato secondo ad altri, compresi gli articoli contro i vertici della Fondazione e sull’arrivo del nuovo direttore generale Fabrizio Viola. Idem con patate con gli articoli contro l’amministrazione comunale. Fino a un anno fa è stato il giornalista organico del sistema di potere, oggi forse per incrinature inevitabili, pretende di riproporsi come il giornalista d’inchiesta e critico verso il sistema. Ma il vizio di proporre le solite litanie contro gli attacchi esterni che secondo lui derivano “dall’invidia” non riesce a perderlo; anche in questo caso dimostra la propria ennesima contraddizione. Si lamenta degli articoli dei giornali nazionali dimenticandosi che pochi mesi prima aveva premiato giornalisti degli stessi gruppi editoriali. Gli uomini di mondo, compreso il Bisi, taluni soggetti li rappresentano quando fa loro comodo; quando la musica stride con lo spartito stabilito reagiscono con la scompostezza di chi ha costruito solo strategie e rapporti fragili e inconcludenti. Oggi il Bisi lancia l’allarme e chiama tutti a raccolta affermando che dall’esterno godono nel dichiarare la fine del “Mulino Bianco”, riferendosi a Siena. Il Bisi e chi gli dà spago non si rende conto dell’ennesimo danno d’immagine, oltre al resto, che arreca alla città con queste dichiarazioni scomposte e prive di veridicità. Dall’esterno le critiche non arrivano alla città (che appartiene a tutti e non al “groviglio armonioso”) ma a un sistema che pretende di rapportarsi in ambiti superiori senza risolvere le grosse contraddizioni emerse dalla gestione politica e istituzionale di questi ultimi anni. O forse il Bisi pensa di occultare i danni gestionali come università e aereoporto e relative inchieste e gli errori strategici nella gestione della Fondazione e della Banca MPS? Il vizio di occultare viene da lontano, ma più che risolvere ha rinviato di qualche anno l’esplosione del groviglio. La città certo che deve reagire ai problemi, ma per risolverli non bisogna fare come gli struzzi. La prima assunzione di responsabilità è quella di dire la verità e ammettere le colpe: non quella di inventarsi nemici esterni o complotti fantasiosi contro la città e la banca. Si pretende di concorrere “alla candidatura di capitale europea della cultura” e di mantenere a livelli di “terzo gruppo bancario il Monte” riproponendo lo stesso provincialismo che ha prodotto i danni e i disastri sotto gli occhi di tutti? Se il Bisi e altri cantori del “groviglio” pensano che la propria posizione sia valida, mica va impedito loro di dirlo; però le istituzioni e la politica si devono elevare un po’ di più e rendersi conto che non siamo “fuori dal mondo”. Il peggiore danno che può essere fatto oggi a Siena è quello di far finta di niente rispetto ai veri problemi e alla caduta di credibilità politico-istituzionale derivante dai risultati delle varie inchieste giudiziarie. Sarà credibile un consiglio comunale che ha tra i consiglieri un indagato come David Chiti? Sarà credibile una candidatura alla cultura con un’università in mano a un rettore abusivo e a una condannata dalla Corte dei Conti, senza dimenticarci del resto degli indagati sul buco finanziario? Sarà credibile e forte una classe dirigente che non risolve queste situazioni e alla svelta? Come diceva una persona saggia: per fare i Gran Maestri bisogna spogliarsi del provincialismo e smetterla di tramare pur sapendo di aver tramato costruendo macerie. Così anche la guida politica e istituzionale di una città non può fare a meno dell’autocritica e del bisogno di rimodellare il proprio agire, partendo dalle soluzioni prima che dai nomi. Possibile che chi ha un ruolo di governo e di gestione non si fermi un secondo in più per dirsi liberamente: abbiamo sbagliato, urge cambiare registro. Invece no. Stiamo assistendo al tentativo di rinviare ancora la risoluzione dei problemi strutturali e il modo gestionale. Dopo la finta discontinuità a parole ecco che dal cilindro spunta una “cabina di regia”. Il massimo del politichese messo in pista per eludere le responsabilità e allungare l’agonia, con la convinzione che tra una partita e l’altra la gente si dimenticherà dei problemi. Cominciassero con il ridurre le spese inutili come gli incarichi all’agenzia Robespierre, per esempio. Il tranello mediatico nei confronti dell’opposizione messo in atto dal Ceccuzzi è riuscito: con la famosa intervista della discontinuità ha dato in pasto agli oppositori (così almeno li convinco a reggere il mio gioco!!!) il Mancini e il Mussari. E giù tutti a sparare sul mite Gabriello e sul Mussari. Quasi quasi ci stavano credendo tutti alla discontinuità ceccuzziana. Ma i problemi e i fatti hanno smentito tutto questo giochino mediatico e ipocrita. Innanzitutto Ceccuzzi e Mussari hanno lavorato di comune accordo su tutto, compresa la scelta del nuovo direttore generale della banca. Mancini non intende andar via e a parer mio fa bene. Perché deve andar via Mancini visto che Ceccuzzi continua a sostenere la linea della banca e della Fondazione? Forse in tutto questo frastuono di dichiarazioni si nasconde solo una cosa: la necessità di Ceccuzzi di impadronirsi della Fondazione sapendo benissimo che sulla banca la politica locale con il tempo non avrà più nessun peso di comando. E forse per la stessa banca è un bene. A Ceccuzzi non rimane che occupare con i suoi uomini fidati la Fondazione. Del resto anche Ceccuzzi afferma che dall’esterno ci sono quelli che si approfittano della crisi per attaccare Siena. Il solito ragionamento provinciale per spostare le responsabilità e mascherarle dietro “restiamo uniti sotto gli attacchi nemici”. Da uno che ha fatto il parlamentare, dall’interno e dall’esterno, si aspettavano altri ragionamenti. Mi chiedo se quelli dell’opposizione l’hanno capito tutto questo giochino ceccuzziano?!! Altri sì. A proposito nella cabina uno come Alessandro Piazzi non ci starebbe male, in fondo di cabine qualcosa ci capisce.
Maestro James
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Dal quotidiano Sole 24 ore di oggi 17 gennaio 2012
“Sono oltre sessant’anni che in Umbria è al potere lo stesso partito, una continuità che risale al primo dopoguerra. Il mondo nel frattempo è cambiato; l’Umbria decisamente meno. I discendenti del vecchio Pci, i democratici del Pd, somigliano poco e niente ai loro progenitori, ma ne conservano i retaggi culturali.
Traspare, dal fondo dei loro discorsi, l’ostentazione di quella diversità morta e sepolta con la stagione berlingueriana e la Prima Repubblica. Un’idea trasferita nella gestione di questa piccola Regione, considerata un modello di buona amministrazione; un vezzo simile a quello dell’Emilia-Romagna. In Umbria è un sentimento ancora più radicato per via della collocazione geografica: un’isola, chiusa, tagliata fuori dalle grandi direttrici di traffico e forse proprio per questo ancora più fiera della propria identità e delle proprie tradizioni.
Nella sua superiorità numerica, che si è progressivamente erosa a ogni consultazione, la sinistra è sempre scesa a patti con i suoi avversari. Spiega il rettore della settecentenaria Università di Perugia, il professor Francesco Bistoni, il cui mandato sta per scadere: «Da una parte c’erano i comunisti, che avevano in mano tutte le leve dell’amministrazione; dall’altra i democristiani, cui spettavano l’Università e le banche. Al di là delle lotte di facciata, il sistema di potere era fondato su una diarchia allargata alla chiesa e alla massoneria».
Oggi ex democristiani ed ex comunisti rappresentano le due anime di uno stesso partito, il Pd, ma la crisi finanziaria dello Stato e la contrazione della spesa pubblica rischiano di mettere in seria difficoltà questo compromesso storico ante litteram. Dice l’assessore al Bilancio, Gianluca Rossi, pidiessino di Terni: «L’impatto complessivo delle manovre di Governo sui conti della Regione è stimato in 243 milioni nel 2011, in 305 milioni nel 2012, in 330 milioni nel 2013 e di 375 milioni nel 2014». Sono circa 1,2 miliardi in meno in quattro anni su una spesa totale regionale di 2,1 miliardi nel 2011. La contrazione delle risorse significa molti argomenti in meno per coinvolgere le opposizioni interne ed esterne alla maggioranza.
«I comunisti, poi divenuti Democratici di sinistra, sono stati bravi a comprarsi i democristiani», commenta il capogruppo del Pdl in consiglio regionale, Raffaele Nevi. Che aggiunge: «Ormai i soldi sono finiti, e la componente diessina del Pd ha deciso di ritornare egemone, scatenando la lotta nel partito». Prova ne è che il rappresentante in consiglio dell’ex Margherita, Giampiero Bacci, è ai ferri corti con Catiuscia Marini, la presidente della Regione succeduta nel 2010 alla dalemiana Maria Rita Lorenzetti. Un tempo lo scontro non avrebbe varcato la soglia del partito. Oggi i due polemizzano in pubblico, attraverso la stampa locale. I colpi bassi non arrivano solo da Bacci. Alla ricerca di un suo spazio di potere, la Marini ha finito per trovarsi spesso in disaccordo anche con la Lorenzetti. Più volte la giunta è finita in minoranza su proposte importanti come quella per i criteri di selezione dei direttori delle aziende sanitarie.”