“che la fenice more e poi rinasce,
quando al cinquecentesimo appressa
erba né biada in sua vita non pasce,
ma sol d’incenso lacrima e d’amomo,
e nardo e mirra son l’ultime fasce”.
(Inferno XXIV, 107-111)
Pare che sia di raro splendore il canto della fenice morente … L’ultimo dono ch’ella reca ai mortali incantati prima di affidarsi alla fiamma del sole per resuscitare a nuova vita quando il proprio ciclo vitale sfiora la soglia dei secoli a lei concessi. Dalle ceneri odorose, fragranti dei mille aromi che hanno alimentato il fuoco che l’ha annientata, risorge una sfolgorante e novella creatura che, aprendo le magnifiche ali, prende il volo per andarsi a posare sull’albero sacro modulando una melodia di ineffabile meraviglia…
Da lungo tempo oramai rifletto restando sempre ammaliato, sul mito dell’araba fenice. La condivisione non della conoscenza, ché non è dato neppur lambire, ma delle proprie e dimesse considerazioni è parte integrante ed essenziale del servizio cui obbedisco. E mai come in questo giorno non lieto, ma nondimeno non oscurato dall’assenza di auspici, mi preme affidare a chi avrà l’indulgenza di scorrere questo scritto, il minuto frammento del pensiero che percorre la mente. Le tracce di un mutamento sostanziale ed esistenziale in atto sono tangibili e non sono avvertite dall’aruspice, ma dall’inquietudine che si insinua fraudolentemente nell’animo di ogni individuo sensibile. Occorre forza d’animo, temperanza, coraggio. Occorre ritrovare quella severa fierezza che ci connota come i primi e i soli demiurghi non solo del proprio destino, ma anche della sorte e della fortuna dell’intera collettività. Un compito ed un intento comune volti a ristabilire una corretta ed esemplare sovranità popolare vincolano l’etica e la morale di ciascun individuo dotato della naturale inclinazione al bene. Non è più il tempo del compianto, è il tempo della rinascita. Non è più il tempo del timore, è il tempo della fermezza. Teniamo, tenete fede ai doveri che la natura stessa vi impone, ci impone per non dover amaramente rimpiangere il momento di una scelta difficile, ardua sì, ma costruttiva. Occorre il lume del discernimento obbiettivo, solidale, quel discernimento che oltrepassa il limite egoistico del proprio confine. Troppe già troppe sono state e sono a tutt’ora le empirie egocentriche di governo che come esito ultimo hanno determinano e determinano una sempre più oscura e deleteria frammentazione delle forze politiche. Si rende indispensabile un sodalizio integro,corretto, schietto e leale per sopravanzare un ormai degenerato sistema politico.
Resurgite, dunque. L’araba fenice come tutti i miti è specchio della realtà possibile: “… si ciba non di frutta o di fiori, ma di incenso e resine odorose. Dopo aver vissuto 500 anni, con le fronde di una quercia si costruisce un nido sulla sommità di una palma, ci ammonticchia cannella, spigonardo e mirra, e ci s’abbandona sopra, morendo, esalando il suo ultimo respiro fra gli aromi. Dal corpo del genitore esce una giovane Fenice, destinata a vivere tanto a lungo quanto il suo predecessore. Una volta cresciuta e divenuta abbastanza forte, solleva dall’albero il nido (la sua propria culla, ed il sepolcro del genitore), e lo porta alla città di Heliopolis in Egitto, dove lo deposita nel tempio del Sole (Ovidio)”
Uriel David