Intervista culturale-sentimentale sulla Goliardia al “Principe” Luca Virgili

1)Quando ha sentito la voglia di entrare a far parte della goliardìa? Come ricorda il suo primo approccio in questo mondo?

La domanda mi fa riaffiorare ricordi mai sopiti. Fin da bambino avevo sempre visto gli studenti con i loro strani “cappelli” in giro per la città. Ricordo nitidamente una frase di mia madre che rispondendo ad una mia domanda, disse che, un giorno, anche io sarei stato come loro. Una speranza che non mancai di esaudire alla fine del Liceo. Erano gli inizi degli anni ottanta, l’83 per l’esattezza, quando cominciai a fare le Feriae Matricularum. Devo confessare che girellai un bel pò davanti al Nannini Conca d’Oro, classico ritrovo dei Goliardi, prima di decidermi. Poi, siccome alcuni miei compagni di classe già le facevano, mi lasciai andare un pomeriggio e decisi di fare con gli altri una corsa in mutande dentro al cinema Odeon, che era posizionato dove oggi, in via Banchi di Sopra, ma era molto più grande ed occupava tutto l’edificio.

2)Goliardìa ieri e oggi: cosa è cambiato? Secondo lei si è modificata, in questi anni, la sensibilità da parte della società verso ciò che fate e verso i messaggi che volete trasmettere?

La Goliardia è in continua trasformazione. Ha delle regole ferree, che sono fatte apposta per essere strumento di cambiamento. Il cambiamento è sostanzialmente intellettuale. Quindi non c’è un prima o un dopo ma c’è un “continuum” spazio-temporale dove si muovono le menti dei giovani Goliardi. Logicamente i ragazzi vivono in questa società, in questo mondo e non sono distanti dai loro coetanei. Però in un contesto mondiale dove vige la cultura del “precotto”, loro, ancora, riescono a proporre qualcosa, riescono a utilizzare il verbo del “fare col pensiero”. La società attuale cambia assieme alla composizione fisica della città e i Goliardi si pongono da anni il problema della relazione con la città che li ha ospitati sin dalla nascita dell’Ateneo stesso. Nel recente passato non è stato semplice rapportarsi con la politica. Dobbiamo essere fiduciosi in un necessario nuovo dialogo con le istituzioni, tenendo sempre presente che i Goliardi Senesi sono sempre stati presenti in città e latori di una cultura antichissima.

3)In un momento storico in cui la cifra delle nostre vite è la velocità e, quindi, esiste un margine di attenzione ai fatti che ci circondano sempre più superficiale, pensa che l’esporre gli accadimenti della vita di tutti i giorni attraverso modalità “goliardiche” possa essere di aiuto a far interessare le persone alle vicende che stanno loro intorno?

La satira salace dell’Operetta è sempre attuale soprattutto in un momento come questo: in una stagione dove la tecnologia offre il massimo aiuto nella socializzazione, intendo social network, chat, telefonini e quant’altro di più moderno vi sia a questo mondo,per assurdo,si è verificato il massimo momento di solitudine della gente,generando una pletora di “idioti”(inteso nell’originalità del termine greco che andava a sottolineare colui che si isola nel privato e non partecipa alla vita sociale prendendo, poi, dei comportamenti non accettati dal gruppo). Quindi il teatro ha riassunto il proprio compito originale di aggregazione sia in termini passivi (spettatori) sia in termini attivi (gli attori). In questo contesto si inserisce anche l’importanza dei testi che possono arrivare ai cuori ed alle menti in maniera molto più efficace di prima. Quindi ben venga la sostenibilità della velocità, fermandosi a riflettere a teatro.

4)Come vede la goliardìa in un prossimo futuro e come riuscire a mantenere viva una tradizione che affonda le sue radici così fortemente nel tessuto cittadino?

La sfida è stata già raccolta anni fa. Ogni Princeps ed ogni Balia ogni anno si dedicano alacremente a cercare sempre nuove idee per traghettare degnamente la fiammella degli ideali goliardici alle generazione del terzo millennio. Non sarà così complicato perchè, in verità, la ricerca della gioia e della libertà intellettuale è caratteristica pura dei giovani, soprattutto oggi dove, apparentemente siamo liberi, ma forse parecchio meno che in altri momenti della nostra storia.