Il dibattito economico. L’analisi di Luigi Zingales

Dall’irlandese Cowen allo spagnolo Zapatero, dal portoghese Sócrates, al greco Papandreu, per finire a Berlusconi, la crisi del debito sovrano sta falcidiando i capi dei governi dei paesi coinvolti.
Poco importa se di destra o di sinistra, chi governa quando arriva la crisi ne paga le conseguenze.

Uno studio empirico presentato lo scorso fine settimana ai meeting dell’American Economic Association ci dice che queste conseguenze erano facilmente prevedibili. Contrariamente all’opinione prevalente, le crisi finanziarie sono frequenti. Nel periodo 1975-2010 nei 70 principali paesi al mondo ci sono state 448 crisi bancarie e 488 crisi del debito: in media ogni paese ha una crisi bancaria ogni sei anni e una crisi del debito ogni sette.
Gli autori sono stati in grado di isolare alcune interessanti regolarità sulle conseguenze politiche delle varie crisi.
Dopo una generica crisi finanziaria, il partito di maggioranza perde in media il 6 per cento dei consensi. A questa perdita si associa in genere una frammentazione del voto, sia nella coalizione di maggioranza sia in quella di minoranza, che rende i governi meno stabili e le riforme più difficili. In questo terremoto elettorale post crisi a perdere sono solitamente i partiti di centro, mentre guadagnano gli estremisti, sia di destra sia di sinistra.
Questa radicalizzazione della politica, che vediamo sia negli Stati Uniti sia in Italia, rende più difficile qualsiasi riforma, proprio nel momento in cui un paese ha il maggior bisogno di riforme.

Ma l’effetto è molto diverso a seconda del tipo di crisi. Dopo le crisi bancarie ad aumentare è l’estremismo di destra, mentre dopo le crisi debitorie a guadagnare consensi è la sinistra radicale. Il motivo è molto semplice. Le crisi bancarie tendono a concludersi con una nazionalizzazione delle banche.
La reazione a questo interventismo fa aumentare consensi alla destra. Per contro, le crisi debitorie creano una forte domanda di remissione (almeno parziale) dei debiti, che trova maggiori consensi a sinistra. Molte delle crisi debitorie analizzate dagli autori, però, sono crisi di debito privato, come quello dei mutui americani e spagnoli, non del debito pubblico.

Un’insolvenza del pubblico è più assimilabile a un’esplosione dell’inflazione, perché entrambe implicano un esproprio forzoso di parte della ricchezza dei creditori.

Storicamente l’effetto politico di una crisi inflazionistica è un forte aumento dei voti dell’estrema destra, come successe nella Germania di Weimar dopo l’iperinflazione degli anni Venti. Se così è, qual è la lezione per l’Italia d’oggi?

Innanzitutto che la speranza che il governo Monti possa portare a termine riforme radicali è forse eccessiva. Nonostante la buona volontà, la radicalizzazione dell’elettorato e del parlamento rende qualsiasi riforma estremamente difficile. Questo aiuta a spiegare i problemi incontrati da Monti anche nei più timidi piani di riduzione dei costi.

La seconda lezione è che Berlusconi è stato molto furbo. Ha passato la patata bollente a Monti al momento giusto, quando ha capito che la risoluzione della crisi non dipendeva più dall’Italia ma dall’Europa e che i nostri partner europei non avevano la capacità (o peggio la volontà) di risolverla. Monti lo sta scoprendo a sue spese.

La sua manovra non è bastata a ridurre lo spread dei nostri titoli pubblici rispetto a quelli tedeschi. Questo rende precaria la posizione del suo governo che ha chiesto al paese enorme sacrifici per salvare l’Italia, ma non è in grado di mantenere la promessa fatta. Nel frattempo il paese, sulla spinta della contrazione fiscale e di quella creditizia, sta entrando in una pesante recessione.

Se la crisi del debito dovesse peggiorare, Berlusconi avrebbe gioco facile ad attaccare il governo da destra, scaricando su di esso la responsabilità della crisi. Posizionandosi come partito anti-europeo e anti-euro, sarebbe in grado di attirare il consenso di quanti sognano una svalutazione per far ripartire le esportazioni. Purtroppo la storia ci insegna che questa strategia riporterebbe Berlusconi al potere con una maggioranza schiacciante.

Luigi Zingales