Esempio di come gestire una fondazione: la Fondazione Carisbo di Bologna.Vi proponiamo l’intervista all’ex presidente Fabio Alberto Roversi Monaco (da Il Giornale dell’Arte numero 329, marzo 2013)

Bologna. Fabio Alberto Roversi-Monaco, per quindici anni rettore dell’Università di Bologna (dal 1985 al 2000), lascerà il mese prossimo la carica di presidente della Fondazione Carisbo, ruolo che ricopre dal 2001. Lo ha annunciato lui stesso nel corso di una serata al Museo della Storia di Bologna, cuore del percorso Genus Bononiae, l’istituzione culturale policentrica fortemente voluta dal professore e inaugurata a gennaio 2012 (cfr. n. 313, ott. ’11, p. 54). Ancora non si conosce il nome di chi ne prenderà il posto: finora sono emerse diverse ipotesi, tra cui quelle di Gianguido Sacchi Morsiani, Filippo Sassoli de’ Bianchi, Leone Sibani, Romano Volta, Gianandrea Rocco di Torrepadula, Piero Gnudi. Ma nulla più. Roversi-Monaco, ordinario di diritto amministrativo, è attualmente presidente del Consorzio Interuniversitario Alma Laurea, direttore di varie riviste amministrative, presidente di Sinloc-Sistema lniziative Locali Spa (Gruppo Intesa Sanpaolo), presidente del Mandarin Fund, membro del Cda di Telecom ltalia Media, presidente dell’Accademia Pianistica di Imola e dell’Orchestra Mozart di Bologna, membro del Cda di Mediobanca. Il presidente della Fondazione Carisbo, nonché presidente e amministratore delegato della società di gestione di Genus Bononiae, ripercorre la sua attività per «Il Giornale dell’Arte». Professor Roversi-Monaco, partiamo dalle erogazioni della Fondazione durante i suoi mandati. Nel periodo 2001-11, quello di cui abbiamo i dati completi, la Fondazione a base associativa Carisbo ha assegnato risorse per complessivi 382 milioni di euro incluse quelle per il Fondo del volontariato secondo la legge 266/91. Di questi circa 103 milioni sono andati in attività proprie e altri 280 milioni sono andati per attività con altri soggetti, quasi tutto è stato impegnato nei nostri settori di intervento che sono arte e cultura, attività sociale, educazione e sport, ricerca scientifica e tecnologica, ambiente. Secondo gli ultimi dati di «Il Giornale delle Fondazioni» pubblicato da Allemandi, al 31 dicembre 2010 avevate un patrimonio netto di 788 milioni di euro e 21 dipendenti, e siete anche dotati di un notevole patrimonio immobiliare strumentale. Abbiamo tre società strumentali: Musei nella Città Srl, Produttori sementi Spa e Virtus 1871 Spa. La prima si occupa del museo diffuso Genus Bononiae, la seconda di biologia molecolare applicata alla coltivazione di cereali e la terza di educazione fisica e scienze motorie. Gli immobili storici sono molti tra cui Palazzo Saraceni, San Giorgio in Poggiale, Rocchetta Mattei, Osteria del Sole, Palazzo Fava, azienda agricola Argelato, in concessione San Michele in Bosco, Santa Cristina, oratorio di San Colombano. Quando divenne presidente, in quali condizioni era la Fondazione? La trovai in buona saluta economica e finanziaria, ma era priva di programmi a medio e lungo termine: non ne restai stupito perché le fondazioni erano attive da pochi anni dopo la loro istituzione grazie alla legge Amato del 1990. C’era dunque bisogno di iniziare un periodo di rodaggio anche perché mancava all’epoca il personale specializzato nelle attività attualmente proprie di un ente bancario di tipo nuovo. All’inizio peraltro era molto forte l’influenza della banca di riferimento, che tra l’altro fornì alla nuova fondazione alcuni beni a titolo oneroso. Sia chiaro: tutto legittimo, ma dal punto di vista economico anche questo è stato messo in conto. Successivamente abbiamo conquistato la piena autonomia. Siamo molto solidi economicamente. In quali condizione lascia l’ente? Dal punto di vista economico non si può certo dire che abbiamo perso rispetto agli inizi. Anzi nel 2007-08 i valori erano arrivati a livelli altissimi grazie a una crescita forte cui però con la crisi è seguito un forte calo generalizzato peraltro. Il patrimonio immobiliare e artistico, come le accennavo, è però di notevole rilievo. Il profilo patrimoniale è solido e la nostra attività pluriennale ha portato a grandi risultati per la città. Uno sforzo giustificato dai numeri dunque, tanto che siamo all’avanguardia in Italia nella gestione diretta di beni tra cui non posso non pensare al principale successo, le sedi del museo della città. Ora c’è un calo delle erogazioni, ma continuiamo a sostenere tante iniziative nell’ambito del sociale e anche della ricerca scientifica, un settore fondamentale. Dopo che avrà lasciato la presidenza, in aprile, contribuirà alla scelta del suo successore? Non parteciperò alla scelta del nuovo presidente, che sarà nominato dal Collegio di indirizzo composto da 28 persone, 14 designate dai soci dell’ente e 14 dagli enti locali e pubblici. Con i milioni di finanziamento verso terzi di cui diceva, avete in pratica dominato la politica culturale bolognese, anche vista la carenza di erogazioni pubbliche: secondo lei un amministratore oggi dovrebbe farsi eleggere in una fondazione piuttosto che in un ruolo politico? Guardi che qui l’influenza della politica non c’è, noi collaboriamo con una miriade di soggetti, pubblici e privati. Dunque non trova che le fondazioni ex bancarie siano troppo autoreferenziali, visto che i criteri di nomina degli amministratori non sono sempre trasparenti? Premesso che da noi tutto è trasparente, l’autoreferenzialità è uno dei rischi che sovente corriamo, però è anche vero che la pluralità di soggetti che giungono a contatto con le fondazioni ha una importante funzione di nomina del personale dirigente di queste ultime. Ciò riduce l’autoreferenzialità, inoltre la crisi economica iniziata nel 2008 ha costretto i nostri enti a maturare un miglior criterio di autovalutazione. Questo è un aspetto molto positivo, pur nell’attuale situazione generale. Veniamo all’arte: l’ultima grossa iniziativa alla quale avete partecipato è stato il progetto «R’Accolte». «R’Accolte» è gestito dall’Acri, noi autonomamente avevamo già la schedatura e l’implementazione del nostro patrimonio artistico che come si sa è ingente e comprende artisti antichi e moderni come Simone Cantarini, Giuseppe Maria Crespi, Donato Creti, Gaetano Gandolfi, Guercino, Guido Reni, Giacomo Sementi, Elisabetta Sirani oltre a Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Felice Casorati, Giorgio de Chirico, Filippo de Pisis, Fortunato Depero, Lucio Fontana, Arturo Martini, Giorgio Morandi, Mario Sironi. La sala di lettura della nostra biblioteca in San Giorgio in Poggiale (100mila libri e 60mila fototipi) contiene inoltre opere di Claudio Parmiggiani, «Campo dei Fiori» e l’ultima monumentale «delocazione» oltre al ciclo delle «Cattedrali» di Piero Pizzi Cannella. Anche negli anni precedenti la realizzazione di Genus Bononiae avete organizzato molte rassegne d’arte. Certo, sarebbe impossibile citarle tutte, rimando i lettori al nostro sito web www.genusbononiae.it dove i materiali a disposizione sono tantissimi. Attualmente ospitate l’ampia rassegna di Nino Migliori e avete appena chiuso quelle dedicate a Robert Wilson, alle tavole dei fumettisti Andrea Pazienza e Andrea Bruno. E per l’immediato futuro? Stiamo organizzando insieme al Mic di Faenza un’ampia mostra, curata da Nico Stringa e Claudia Casali, che fornirà una panoramica esauriente del percorso artistico di Arturo Martini (1889-1947) attraverso le sue «grandi terrecotte» realizzate tra il 1928 e il 1932 e le statue in ceramica, marmo, bronzo, legno, gesso. Resterà alla guida dei musei di Genus Bononiae? Do la mia disponibilità a restare a capo della società strumentale Musei nella Città Srl per accompagnare e sviluppare questo progetto su cui stiamo investendo da anni, raccogliendo peraltro risultati evidenti. Siamo stati inseriti, unici tra le realtà private italiane e primi in Emilia Romagna, nel progetto «iMibac top 40» del Ministero per i Beni e le Attività culturali: è una applicazione per gli smartphone che serve a promuovere l’arte attraverso le nuove tecnologie. In tutto sono 40 eccellenze museali italiane, che l’app permetterà di avvicinare e conoscere. Siamo anche i capofila nella creazione della card turistica bolognese, attiva dal mese di agosto, uno strumento nuovo di promozione della città che amplia l’offerta dei servizi per turisti e visitatori. Ormai Genus Bononiae, costituita da otto sedi, è consolidata. Ma perché ha voluto questo sistema museale diffuso? Penso da anni che il concetto di percorso museale non possa più essere organizzato con criteri ottocenteschi, certo meritori ma ormai superati. Ora tutto è ispirato alla interazione e allo svolgimento di attività e qui ne facciamo continuamente. Siamo un sistema dinamico, proprio come accade all’estero, e i numeri ci danno ragione. Nel 2012 abbiamo avuto 292mila visite con una media mensile che ha sfiorato le 25mila, l’età media dei visitatori è di 41 anni e il 69% sono italiani (bolognesi il 67%) e stranieri il restante 31%. Dopo un primo periodo di lancio durante il quale abbiamo optato per l’ingresso gratuito, da un po’ facciamo pagare il biglietto, tentando di coprire con queste e altre entrate il 25-30% dei costi. Genus Bononiae non punta solo a recuperare un patrimonio artistico, linguistico e documentario di inestimabile e sorprendente valore, ma vuole soprattutto individuare la vocazione profonda di Bologna quale luogo insigne di creazione e diffusione di idee, di idiomi e di linguaggi, di immagini e di manufatti dovuti ai nobili e al popolo, agli artisti e agli artigiani, agli imprenditori e agli intellettuali. Chi curerà la programmazione nei prossimi anni? Si è parlato di un «ridimensionamento» del ruolo di Philippe Daverio. Daverio è stato importantissimo nella realizzazione del percorso museale, ora abbiamo vari collaboratori a seconda degli eventi, ma Philippe resta un amico e collaborerà ancora. Io sono l’amministratore delegato della società e certo servirà un direttore. Dal punto di vista delle offerte in proprio, le fondazioni si specializzano. L’ente della vicina Modena ha scelto di puntare per lo più sulla fotografia. Una scelta certo valida, noi abbiamo però scelto una strada differente. A gennaio avete collaborato con ArteFiera: qual è il suo giudizio? Il momento è difficile e il consuntivo va fatto a più lungo termine. Penso bisognerà procedere a futuri investimenti. Lei è stato rettore per tanti anni: qual è la situazione del mondo universitario? Collaboriamo e vogliamo aumentare il rapporto; continuiamo ad avere comunque rapporti consolidati e fruttuosi con studiosi quali Angelo Varni, Giuseppe Sassatelli, Andrea Battistini, Raffaele Simone e altri. Si impegnerà mai direttamente in politica, magari come futuro ministro per i Beni culturali? No grazie, non ci penso proprio. Pensi che una volta, nei primi anni Ottanta, ero stato eletto deputato con il Partito Repubblicano; ma rifiutai.

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#1 IL SANTO NOTIZIE DI SIENA on 09.07.13 at 10:44

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